L’avventura artistica di Alberto Spadolini inizia in qualità di scenografo e pittore nell’ambiente beffardo e irriverente del Teatro degli Indipendenti diretto da Anton Giulio Bragaglia. Fra le burle organizzate dalle truppe bragagliesche l’invenzione del “Ministero delle Lettere” con a capo Marinetti, Trilussa e D’Annunzio; la creazione del commediografo russo Wassili Cetoff Sternberg al fine di “illudere la stupida esterofilia del pubblico italiano pronto ad applaudire ciò che non è italiano”. Emigrato in Francia, Alberto Spadolini entra nell’atelier dello scenografo Paul Colin dove si compie il ‘Miracolo’: mentre decora gli interni di una discoteca in Costa Azzurra lui si mette a ‘danzare selvaggiamente’. Un impresario lo vede e lo lancia nel mondo dello spettacolo. Spadò, ‘danzatore primitivista’, affascina e seduce i poeti Paul Valery e Max Jacob; conteso dalle divine Mistinguett e Joséphine Baker; reclamato dai teatri di Parigi, di Londra e di New York, dal cinema e dalla nascente televisione. A sollevare dubbi sul “danzatore che non aveva mai frequentato una scuola di ballo” un’intervista al parigino L’Européen (1935) e un articolo del New York Times (1936). Siamo forse di fronte all’ennesima ‘beffa’ ben orchestrata da quel visionario di Bragaglia, a cui piaceva firmarsi Giovanni Miracolo?